Il direttore dell’Osservatorio epidemiologico dell’Ars, Francesco Cipriani spiega a Geotermianews lo studio epidemiologico condotto sulle aree geotermiche in Toscana.

Il direttore dell’Osservatorio epidemiologico dell’Ars, Francesco Cipriani spiega a Geotermianews lo studio epidemiologico condotto sulle aree geotermiche in Toscana.

Francesco Cipriani, direttore dell’Osservatorio epidemiologico dell’Ars: "Tutti gli indizi che emergono da questo studio epidemiologico depongono non tanto contro la geotermia, ma suggeriscono piuttosto altri fattori, anche se da approfondire."

Geotermia News
Redazione
2010-12-28

Il quadro sanitario delle aree geotermiche che esce dallo studio epidemiologico condotto dall’Agenzia per la Salute (Ars) e commissionato dalla Regione Toscana è rassicurante e in linea con il resto della Toscana. Nonostante questi risultati non si spengono le polemiche e le non sedano le preoccupazioni di una parte di cittadini che in queste aree vivono e che vorrebbero che venisse interrotta l’attività geotermica. Abbiamo chiesto a Francesco Cipriani, direttore dell’Osservatorio epidemiologico dell’Ars, che ha coordinato lo studio di entrare nel dettaglio dei risultati ottenuti.

In cosa consiste questa indagine epidemiologica e cosa si è considerato in questo studio?

«L’indagine che si è svolta assieme ai ricercatori del Cnr di Pisa è di tipo descrittivo, ovvero abbiamo utilizzato tutti i dati disponibili, sia dal lato sanitario che dal lato ambientale, nell’area in esame. Un’indagine di questo tipo può portare alla formulazione di ipotesi da verificare eventualmente con studi analitici dopo aver ristretto il campo ad un numero limitato di indizi. Per la parte sanitaria si sono utilizzate le informazioni che i cittadini lasciano dietro di sé quando svolgono una qualsiasi attività sanitaria (dalla nascita sino al decesso). Questi dati si trovano in archivi regionali dove ogni singola persona è contrassegnata da un codice che per ragioni di privacy è unico ma del tutto anonimo (non è possibile cioè risalire all’identità del soggetto). Si tratta di certificazioni di decesso suddivise per causa, di motivi di ospedalizzazione, dati sui bambini alla nascita con informazioni su malformazioni, pesi troppo bassi, rapporto tra maschi e femmine diverso dall’atteso e così via. Quindi non abbiamo creato nuovi dati, ma abbiamo effettuato un’analisi di quelli già esistenti alla ricerca di indizi e prove sui problemi e le cause che li hanno originati. Per questo i dati relativi alla popolazione dei 16 comuni dell’area geotermica indagata sono stati confrontati sia con quelli di un’area limitrofa di 50 km raggio ed anche con il resto della Toscana, per far vedere se ci sono differenze significative, come dicevo alla ricerca di indizi».

Ci può spiegare meglio questa fase?

«In pratica si calcola nella popolazione in studio, con la sua struttura per sesso ed età, quanti casi di malattie ci si aspetterebbero se questa popolazione avesse la stessa probabilità di malattia delle popolazioni di confronto (quella nel raggio di 50 Km e quella di tutta la Toscana). Faccio poi il confronto tra i casi realmente osservati rispetto a quelli “attesi” e li riporto – per miglior comprensione - a 100, quindi valuto se la differenza in più o in meno eventualmente rilevata è poi significativa in termini statistici. Se il confronto tra casi osservati ed attesi di decessi o ospedalizzazione per una certa malattia è 100, vuol dire che non c’è differenza, se è sopra c’è un eccesso di rischio, se sotto è inferiore. La statistica poi ci dice se la differenza è affidabile o no. Poi debbo interpretare il risultato sulla base delle conoscenze degli studi precedenti. Per esempio, se in uno studio di questo tipo trovo eccessi di ricoveri o di mortalità per cause respiratorie, posso pensare di avere a che fare con fattori ambientali e con l’abitudine al fumo, che gli studi indicano come fattori noti di rischio per queste patologie. Se trovo un eccesso di tumori del colon penso più a fattori genetici o alimentari e meno a quelli ambientali. Uno studio di questo tipo non fa analisi su singoli cittadini, ma utilizza dati esistenti per capire se ci sono problemi e a cosa possono essere riconducibili. Perciò un lavoro come questo non consente di arrivare a conclusioni sicure su rapporti di tipo causa-effetto. Ma orienta le indagini».

Per la parte ambientale quali dati sono stati considerati?

«Abbiamo preso in esame tutti i documenti disponibili, di questi la grande maggioranza derivano dai monitoraggi di Arpat, ma anche da altre fonti. Per i dati sull’acqua abbiamo utilizzato, ad esempio, sia quelli delle Asl che dei vari gestori della risorsa idrica presenti in quei territori. Gli inquinanti considerati sono stati tutti quelli caratteristici di queste aree»

Poi avete messo in relazione i dati sanitari con quelli ambientali e cosa ne è emerso?

«Complessivamente, dalla sezione descrittiva ambientale tutti i livelli riscontrati nell’area sono di sostanze tipiche dell’area geotermica, con differenze tra l’area nord, ovvero la zona di Larderello, e quella sud, dell’Amiata. Per quanto attiene ai dati sull’aria, si rilevano livelli superiori a quelli delle altre aree geotermiche di acido solfidrico nell’area geotermica nord, e di mercurio nell’area dell’Amiata senese. Siamo comunque sempre sotto i valori guida indicati dall’Oms. Attribuire ai valori di mercurio solo l’origine geotermica non è corretto perché ci sono anche emissioni dovuti alla natura mineraria dell’Amiata; mentre per quanto riguarda l’acido solfidrico questo è legato senz’altro anche all’attività geotermica e determina situazioni critiche da un punto di vista olfattivo, che si verifica con il superamento del valore di 7 μg/m3, riscontrato con vari gradi di intensità in tutte le postazioni di monitoraggio. Una parte di questi livelli è anche di origine naturale, anche se non ne sappiamo definire con esattezza la proporzione.

Riguardo all’acqua il dato più critico riguarda le concentrazioni di arsenico particolarmente rilevanti nell’area sud, ma anche nell’area nord, tanto che i Comuni hanno dovuto ricorrere alla deroga sino ad ora concessa per la concentrazioni ammesse per l’acqua potabile. Comunque nel periodo 2009-2010 alcuni acquedotti, in particolare il Fiora nell’Amiata, hanno messo sistemi di abbattimento e sono scesi al di sotto delle concentrazioni massime consentite. Nell’area nord, invece, alcuni Comuni dell’area geotermica nel 2010 erano ancora in regime di deroga. Ora, visto che l’attività geotermica è più presente nell’area nord e quindi i volumi di emissione sono più alti qui, in particolare dell’acido solfidrico che è un inquinante tipico di questo tipo di attività, se ci fossero state patologie correlabili con l’attività geotermica ci saremmo aspettati di trovarle in maggior numero principalmente in quest’area. E invece non è stato così, perché, semmai, sono di più nell’area sud dove gli impianti geotermici sono decisamente minori. Da qui l’indizio forte che la geotermia difficilmente è responsabile degli eccessi di malattie rilevati perlopiù nell’area dell’Amiata. Tra l’altro l’eccesso di patologie riscontrate nell’area sud fanno pensare ad altri fattori, piuttosto che a quelli ambientali, ovvero al tipo di occupazione o agli stili di vita. Tra le malattie respiratorie, l’eccesso rilevato di pneumoconiosi o di malattie tubercolari nei maschi sono attribuibili a rischi di tipo occupazionale, un esito delle attività minerarie storicamente condotte in quest’area. Così come un eccesso di tumori allo stomaco e al fegato nei maschi e non nelle femmine, fanno pensare a stili di vita, in particolare all’alimentazione, all’uso di alcool o a fattori infettivi. Mentre per l’eccesso di morti per malattie respiratorie acute, riscontrato nelle femmine e non nei maschi, non si può escludere un fattore ambientale e questa è un’ipotesi da approfondire».

Si parte comunque da un dato di riferimento, quello della popolazione toscana, in cui l’aspettativa di vita è tra le più alte a livello nazionale

«Esatto e inoltre la cosa rassicurante è che l’andamento della mortalità per singole cause sta diminuendo dagli anni 70 nell’area geotermica come nel resto della Toscana, cosa che conferma una poco probabile relazione con l’attività geotermica. Così come nell’area nord, dove maggiori sono le emissioni da attività geotermica, si è riscontrato un minor tasso dell’atteso di tumori respiratori e di malattie respiratorie in genere al contrario di quanto ci si poteva aspettare sulla base di un’ipotesi di inquinamento dell’aria.»

Anche su Pomarance?

«Nell’area di Pomarance si è riscontrato qualche lieve eccesso per alcune patologie, cosa che potrebbe anche essere dovuta al fatto che l’area è più grande e quindi il campione di popolazione è più esteso. Comunque questo dato va verificato meglio».

Si può già fare qualche ipotesi?

«Alcuni problemi sanitari sono stati effettivamente riscontrati, ma per gli indizi che abbiamo raccolto, la loro attribuzione all’attività geotermica è assai poco probabile. Sono anche dati ci aspettavamo, perché quella dell’Amiata come la Lunigiana e parte della costa toscana, sono aree che storicamente hanno maggiori problemi sanitari, forse legati anche ad antiche cause di disagio sociale ed economico. Anche se questo è più vero per la Lunigiana che non per l’Amiata, dove senza dubbio l’attività mineraria è stata alla base di un benessere diffuso, ma anche di maggiori patologie occupazionali respiratorie. Ci sono poi anche informazioni in questo studio su eccessi di altre malattie, come un quelli di ricoveri per problemi d’insufficienza genitourinaria nei maschi e nelle femmine, soprattutto nell’area amiatina, la cui natura ed origine è da approfondire, soprattutto alla luce dei livelli di arsenico rilevati. Tra l’altro era già stato fatto uno studio dell’Asl di Siena alla fine degli anni ‘90 in collaborazione con Pietro Comba dell’Istituto Superiore di Sanità che andò a misurare i livelli di arsenico e di mercurio nel sangue e nelle urine di un campione di circa 900 persone di alcuni comuni dall’Amiata (Abbadia San Salvatore, Piancastagnaio, Castiglion d’Orcia, Radicondoli). Lo studio concluse che le differenze riscontrate nei livelli di questi metalli tra Abbadia San Salvatore e gli altri comuni non era imputabile all’attività geotermica ma alla naturale struttura geologica e mineraria dell’Amiata».

Quindi i problemi da prendere in considerazioni sembrano altri dalla geotermia?

«Tutti gli indizi che emergono da questo studio epidemiologico depongono non tanto contro la geotermia, ma suggeriscono piuttosto altri fattori, anche se da approfondire. In particolare un paio di cose andrebbero studiate meglio, perché noi medici siamo sempre preoccupati della salute pubblica e certamente in ambito sanitario il principio di precauzione sappiamo che funziona. In conclusione possiamo dire che siamo partiti per cercare eventuali correlazioni con fattori ambientali e abbiamo trovato invece maggiori problemi sanitari che con poca probabilità sono da attribuire a fattori ambientali. Quindi l’ago dell’attenzione si è spostato sui problemi di salute riscontrati».

Cosa fare allora?

«Si possono fare due cose e contemporaneamente. Da un lato approfondire gli aspetti emersi e non attesi, quali i problemi di tipo genitourinario e respiratorio acuto, per capire se ci sono alla loro base motivi diversi dagli stili di vita. Tra gli approfondimenti da fare ad esempio, ci sarebbe da individuare cosa sono nello specifico queste patologie respiratorie acute nelle donne. Quindi fare un approfondimento epidemiologico su alcune patologie emerse. L’altra cosa da fare è quella di rinforzare le azioni di prevenzione per le patologie trovate in eccesso. Questo significa fare un piano di salute sull’Amiata per poter migliorare la prevenzione e gli stili di vita relativamente alle patologie in eccesso che abbiamo individuato. Dovessi dare un consiglio darei maggior spazio ai medici di base, che certamente saranno coinvolti sia per gli approfondimenti epidemiologici sia per le attività di prevenzione, per organizzare interventi di prevenzione un po’ più forti di quanto peraltro già si sta efficacemente facendo».

E’ stato anche proposto di avviare contatti con Michael Bates, che ha studiato, in Nuova Zelanda, lo stato di salute della popolazione esposta regolarmente alle concentrazioni di acido solfidrico. Andrà avanti questa ipotesi?

«L’abbiamo proposto all’assessore Bramerini, che ha promesso anche risorse adeguate. Ora bisogna discutere, anche con Bates, se può avere senso un eventuale studio di approfondimento di questi temi. C’è, infatti, da considerare che nell’area nord dove è maggiore la concentrazione di acido solfidrico si sono riscontrate anche meno patologie. Si tratterebbe, per esempio, eventualmente andare a indagare gli effetti sulla salute dell’esposizione prolungata negli anni anche a basse dosi di acido solfidrico. Sarebbero necessari test specifici e si potrebbero confrontare i dati in possesso di Bates ma che riguardano concentrazioni molto più elevate di quelle riscontrate nelle nostre aree di studio. Comunque come prossimo passo gli invierò la sintesi dei risultati, dopodiché vedremo con lui su cosa vale la pena di andare avanti».

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